domenica 25 marzo 2012

Miei brevi pensieri da Facebook.

Chi non esce mai di casa; chi segue la vita da un divano. Chi non ha mai preso un treno; chi evita di dar retta ad un migrante. Chi non ha mai preso una cartina geografica in mano e non si è messo a fantasticare: per poi accorgersi che era storta. Chi non ha mai vissuto un sogno infranto. Chi non si sente figlio dell'Africa; chi non si è mai sentito baciare le labbra mentre pronunciava la parola "Mediterraneo". Chi non ha visto la sua vita prendere il colore degli occhi di una ragazza. Chi ha sempre pensato che la letteratura si potesse impararla dai manuali; chi non ha mai letto Jack London. Ecco, tutte queste persone sono in debito con la vita: non l'hanno vissuta abbastanza. (19.03.12, 23.37)

Schio, ore due del mattino circa. Conto quattro ubriachi, forse cinque, perdersi nelle vie deserte e scure.
Al "Leoncino" il barista paziente accompagna fuori un ragazzo dal naso da pugile: goffo, tenta di ballare una musica che l'alcool gli impedisce di capire.
Nell'odore di kebab di via Pasini due quarantenni dalla pelle solcata operaia si danno a un'esplorazione zigzagante dei grandi misteri di un paese improvvisamente nuovo: "E qua cosa c'è?" biascica uno con le narici piene di fumi orientali. Si fermano, ma poi decidono di vedere dove li condurrà la strada: ci chiedono permesso e si allontanano sempre più piccoli fino a sparire dietro l'angolo, abbracciati fratelli chapliniani, verso la stazione. Là dentro, al kebabbaro, un ragazzo si lascia andare sul tavolo coperto dalla sua giacca avana.
L'ultimo ubriaco, in "piassa dea figa", proprio accanto alla figa. Ci chiede da accendere, la ragazza che è con lui cerca di portarselo via con parole dolci. Uno di noi gli dà divertito e lui ringrazia.
Guardando attraverso la "Porta della luce" li vediamo tornare nel buio materno. (18.03.12, 12.38)

"El degheio": l'ultima sera del "Leoncino" di Schio. Mini reportage.

"Doman de sera ghe sarà el degheio!", che tradotto dal veneto significava che la sera successiva ci sarebbe stato un casino (di gente). Lo diceva con facile spirito profetico una ragazza che venerdì sera sostava insieme a molti altri in Piazzetta Garibaldi, proprio di fronte al "Leoncino". La voce correva da tempo, anche sui social networks, poi era arrivata l'ufficialità: uno dei bar più amati dai ragazzi scledensi avrebbe chiuso sabato 24 marzo. Una pagina Facebook raccoglieva un paio di giorni prima 800 adesioni all'evento. E in piazza, vi posso assicurare, il "degheio" c'era.
Se come si vocifera i problemi del "Leoncino" erano gli schiamazzi notturni che sembra infastidissero gli abitanti del centralissimo quartiere, la serata di ieri per questi dev'essere stata un inferno. Arrivando dal Duomo o da via Pasini il colpo d'occhio era inevitabile: decine di gruppi di ragazzi e ragazze, chi con una sigaretta, chi con uno spritz in mano, occupavano metà piazza. Tutti erano lì a divertirsi un'ultima volta con il Bar. Provo a entrare. Al bancone ci si arrivava a fatica in qualche minuto, facendosi largo a gomitate. Lì scopro che è finita la birra: qualcuno rimedia con un buon bicchiere di rosso. Non provo nemmeno ad arrivare fino in fondo, alla sala dei tavolini e del biliardo, c'è troppa gente. Esco. Passo davanti all'ubriaco dal naso da pugile di cui avevo scritto qualche giorno fa. E' sobrio, ma è già rosso e chiede da bere; c'è troppa gente, i camerieri non lo sentono e allora lui fa il gesto della bottiglia tracannata. Me lo lascio alle spalle sicuro di come andrà a finire la sua serata.
Sarà mezzanotte, dai piani alti del vecchio palazzo c'è chi fotografa la folla per portarsi a casa un pezzo di serata: la serata dell'addio. Cammino tra nuvolette di fumo Camel e Lucky Strike, su plastica e vetro, bicchieri e bottiglie rotte. Saluto una mia amica, la riconosco dai riccioli perchè la folla è grande. La perdo in un attimo. Mi volto prima di andarmene, un'ultima occhiata. Il gestore del bar, con la sua barba folta, porta divertito in spalla una ragazza dalle cosce tatuate: "Un urlo per il Leoncino!". Parte un applauso, non si sa più come rimetterla a terra.
Guardo un'ultima volta la scritta sull'entrata: "Leoncino Ristorante".
Mi allontano un po' più solo di prima.